Un tavolo,
quattro sconosciuti, una moka di caffè, e venti minuti per parlare.
Questo
è l’esperimento sociale a cui ho partecipato domenica 13 Novembre a
Santarcangelo di Romagna, nei locali della Biblioteca Comunale durante la Fiera
di San Martino.
L’evento
è stato organizzato dall’Associazione Recidivo, “un centro di riuso/recupero
creativo dei materiali di scarto sociale con lo scopo di promuovere
atteggiamenti ecologicamente ed eticamente corretti in un’epoca di consumismo
spregiudicato”.
Con
questo esperimento curioso e stimolante si è voluto recuperare qualcosa che
viene spesso sprecato o al quale, a volte, non si dà la giusta importanza: il tempo.
E
da buoni italiani, quale miglior occasione per incontrarsi se non il tempo di un
caffè?
L’iniziativa, aperta a tutti, è stata accolta con curiosità ed entusiasmo
da uomini e donne di ogni fascia di età, sottolineando l’esigenza profonda di
tornare a relazionarsi con gli altri in maniera “reale”, in un’epoca in cui il
virtuale e il tecnologico sembra abbiano preso il posto delle parole dette e
degli sguardi che si incontrano.
Al
centro del tavolo una scatola con tanti foglietti, su ognuno dei quali era
scritta una“parola” che suggeriva il possibile argomento della conversazione.
Tutto nella massima libertà, perché da quello spunto si poteva spaziare ovunque.
La
nostra parola era ASCOLTO, e noi abbiamo fatto questo a turno, ascoltato chi ci
stava raccontando il suo punto di vista, la prospettiva da cui guarda il mondo,
riflettendo sul fatto che oggi non solo è difficile relazionarsi con gli altri
ma spesso quando si parla con qualcuno non lo si ascolta neanche, presi magari da
cosa dobbiamo fare dopo o facendoci distrarre da messaggi e notifiche del mondo
parallelo.
Proprio
per evitare la contaminazione tecnologica, i nostri cellulari sono stati messi
in un’altra scatola e riposti altrove fino alla fine dell’esperimento.
Mi piace
chiamarlo così un po’ perché lo è stato davvero, un po’ come provocazione,
perchè vi sembra normale che nel XXI secolo sia considerato un esperimento parlare
a voce con altre persone piuttosto che inventare il teletrasporto?
E
invece è così. La tecnologia, l’illusione di una vita reale in mondi virtuali, la
frenesia quotidiana con cui viviamo ogni situazione sono diventate entità che
gestiscono la nostra vita e dalle quali sembriamo dipendere come i sudditi dal
sovrano. Sembra non ci sia più tempo per nulla, non siamo più noi a gestire la
nostra vita, ma è il contrario.
Ecco
allora che il tempo di un caffè diventa una conquista e un atto rivoluzionario.
In
quei 20 minuti il tempo si è dilatato e ha abbracciato tutti noi. Abbiamo
parlato in totale libertà, senza alcun imbarazzo o timore del giudizio altrui, curiosi
di sapere chi avevamo davanti e cosa avevamo da dirci.
Persone con vissuti
diversi, età diverse ma un comune denominatore: la curiosità di partecipare a
un progetto in cui l’individuo fosse il protagonista e il tempo di un caffè un
momento per se stessi strappato alla frenesia quotidiana.
Che poi 20 minuti
possono sembrare molti, ma in realtà sono un battito di ciglia. Quando si è
immersi in una conversazione piacevole, leggera ma profonda allo stesso tempo,
i minuti volano.
Quando si ascolta un perfetto sconosciuto, che in quel momento
diventa però un compagno di avventura, condividere il suo pensiero e il suo
sentire senza filtri o inibizioni, la distanza fra le persone crolla. Il caffè,
poi, è il collante perfetto e il portavoce ufficiale degli incontri fra le
persone. Non è un caso che quando ci si voglia incontrare con qualcuno si dica :
“Ci prendiamo un caffè ?”
Il
tempo di un caffè è la metafora perfetta per suggerire alle persone di ritagliarsi
del tempo per sé, per relazionarsi con gli altri “come una
volta”,
parlando, ascoltandosi davvero, guardandosi, recuperando quel valore umano che
oggi sembra perso.
Non serve mezza
giornata, bastano anche 10 minuti per entrare in una dimensione intima e
personale sganciata dalla tecnologia e dai rumori del mondo. Dobbiamo viverla
la nostra vita, non subirla.
Sicuramente
l’ambiente messo a disposizione per questo esperimento ha facilitato l’incontro
e il mettersi in gioco delle persone, ma secondo me è lo stato d’animo che si è
creato che ha fatto la differenza e che ha riportato fortemente l’attenzione
sulla necessità di tornare semplici ed immediati.
Secondo me le persone hanno
un bisogno profondo di incontrarsi e condividere quell’umanità che oggi si è
persa. Anche lo scontro su certi argomenti è una forma di incontro, e in ogni
caso il confronto favorisce la crescita e l’espansione della coscienza.
Non
vi nascondo che se avessi potuto rimanere seduta a quel tavolo per tutta la
mattina lo avrei fatto. Non mi sembrava di parlare con degli sconosciuti,
termine questo che a volte si addice anche a chi in realtà crediamo di
conoscere.
Eravamo entrati in una dimensione in cui l’ascolto e il confronto
erano più importanti di ogni altra cosa. Guardando i miei compagni di caffè,
non mi sono chiesta neanche per un istante chi fossero davvero, ma ho ascoltato
le loro parole e vissuto pienamente quel momento senza alcuna distrazione,
facendo mie le loro considerazioni e ampliando il mio bagaglio emotivo ed
esperienziale. E il tempo è volato.
L’essere umano ha bisogno di nutrimento
emozionale, e questa esperienza ha fornito proprio questo, emozioni.
Finito
il tempo, chi voleva poteva lasciare un commento (rigorosamente in forma
anonima) riguardo all’esperienza vissuta. C’è anche chi non ha scritto nulla,
ma secondo me non certo perché non abbia ricevuto niente da questa esperienza, ma perché
a volte non ci sono parole per descrivere un’emozione. Su quel foglio bianco ha
lasciato il suo sentire che nessuna parola, evidentemente, poteva raccontare.
Nella
sua semplicità questo esperimento è stato potente e ha sottolineato l’importanza
di usare il tempo con intelligenza, privilegiando la qualità delle cose che
facciamo e non la quantità delle stesse e soprattutto di essere presenti a noi
stessi in qualunque momento, perché così facendo anche il tempo di un caffè può
diventare un’esperienza stupefacente e la conoscenza di altre persone un
viaggio ricco ed entusiasmante.
E il pensiero del cellulare è rimasto nella
scatola insieme al telefono stesso.
Sicuramente
e decisamente da riproporre.
Mi
è rimasta solo una domanda che forse è
una piccola provocazione:
“L’ascolto
è possibile solo se l’ambiente lo permette o dobbiamo essere capaci di creare
dentro di noi quello spazio libero dai rumori del mondo in cui ascoltare noi
stessi e gli altri?”
Grazie
di cuore all’Associazione Recidivo per l’opportunità di ricordarci che siamo animali sociali che necessitano di incontro e conoscenza
reciproca, e grazie soprattutto a Massimo, Adriana e Michele, miei compagni di tempo
e caffè per aver condiviso con me una pezzetto di viaggio.
Auguro a tutti “Il tempo di un caffè”..
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