sabato 26 novembre 2016

Regredire per evolvere...



E’ possibile “regredire” per “evolvere”?

Se per regredire si intende ritrovare il contatto con la natura e con la propria anima, la risposta è sì.
Esiste un posto al mondo dove gli uomini vivono in comunione gli con gli altri, aiutandosi reciprocamente e crescendo spiritualmente , nel rispetto della natura e degli spiriti che la permeano.
Questo luogo magico e affascinante si trova in Scozia, ed è la comunità di Findhorn, da più di cinquant’anni esempio mondiale di eco sostenibilità, spiritualità e riscoperta di una dimensione sacra del lavoro e della vita
                                                  
 



Era il 1962 quando Peter ed Eileen Caddy insieme ai loro tre figli e alla segretaria Doroty Maclean  rimasero senza lavoro, e siccome gestivano un albergo, oltre al lavoro persero anche la casa. Decisero così che l’unica cosa da fare in attesa di trovare un nuovo lavoro fosse trasferirsi nel campeggio della baia di Findhorn dove avevano lasciato una vecchia roulotte.


                                                            

 


Il tempo passava ma di un nuovo lavoro nemmeno l’ombra. Sembrava che l’Universo stesse architettando tutto per permettere loro di creare qualcosa di incredibile, che avrebbe ispirato nel tempo migliaia di persone in tutto il mondo e condotto l’umanità verso il risveglio della coscienza e il recupero di un profondo rapporto con la natura.

Per risparmiare decisero di coltivare un orticello. L’impresa poteva sembrare impossibile allora perché il terreno in quella zona era costituito da sabbia, sassi e abitato da insetti e animali che rendevano veramente difficile la crescita degli ortaggi. Ma per loro fu diverso, perché non erano soli.


                                                       
Durante le varie meditazioni a cui si dedicavano giornalmente, ricevettero indicazioni precise su come coltivare il terreno rispettando la natura da “voci” che furono attribuite da Doroty MacLean ai Deva, spiriti della natura che li guidarono a creare uno dei giardini più famosi e rigogliosi al mondo. Consigli semplici eppure efficaci su come coltivare il terreno, come concimarlo con alghe di mare, cenere di frassino e sfruttare gli stessi insetti che inizialmente potevano sembrare un ostacolo. I risultati non tardarono a mostrasi.

Su questo terreno impossibile da coltivare iniziarono a crescere ortaggi di dimensioni mai viste, come cavoli rossi di 15/20 chili, broccoli enormi, rose che crescevano anche sotto la neve, fiori di tutte le specie e sempre più grandi del normale. I primi ad accorrere per vedere il prodigio furono gli abitanti dei dintorni, ma ben presto si unirono a loro anche esperti pedologi, che non credendo ai loro occhi decisero di analizzare campioni di terreno per capire come fosse possibile un risultato così incredibile. 
Con grande stupore scoprirono che la terra era perfettamente bilanciata e priva di qualsiasi componente chimico o artificiale. Accorsero allora giornalisti, TV e l’orticello di Findhorn si affacciò al mondo.     


   
    
Ma la domanda che tutti si ponevano era: “Come avevano fatto?”

Con l’unico ingrediente capace di rendere speciale ogni cosa: l’Amore.

Ed è ancora questo il principio che guida la comunità di Findhorn da più di cinquant’anni, amore e comunicazione con la Natura e un ascolto profondo di quella voce interiore che sa cosa è giusto fare e cosa è meglio per noi.
Lo scopo dell’orto era quello di creare una comunità educativa che vivesse in armonia col tutto e imparasse ad ascoltare la propria intuizione e i messaggi che l’Universo, Dio, chiamatelo come volete, aveva in serbo per loro e per tutti noi.

Se era stato possibile far fiorire fiori e ortaggi in quel luogo impervio, si poteva far fiorire anche gli uomini, e portarli alla consapevolezza che dentro di loro c’era qualcosa che valeva la pena coltivare sempre.

E oggi,dopo più di cinquant'anni, Findhorn è forse una delle comunità educative e spirituali più note al mondo, e uno degli esempi più riusciti di eco villaggio, dove sostenibilità ambientale, sociale ed economica camminano di pari passo con lo sviluppo del potenziale umano e la salvaguardia del Pianeta terra.
I cittadini, per esempio, usano solo vetture elettriche, producono energia grazie a pale eoliche o pannelli solari, purificano l’acqua attraverso un sistema biologico di trattamento dei liquidi. Inoltre i cento edifici in cui vivono gli abitanti sono realizzati con materiali naturali come legno, sughero, pietra e mattoni.
Ci sono anche una serie di case costruite con vecchie botti di whisky gentilmente donate da distillerie locali. Se non è recupero questo?!

      


Findhorn’ una comunità spirituale aconfessionale, dove tutti sono accolti con grande libertà e rispetto, senza nessuna costrizione o manipolazione e che si fonda su tre principi: lavorare seguendo la propria voce interiore; lavorare con Amore ( il lavoro è considerato amore in azione); lavorare in collaborazione con la natura. Ognuno partecipa a un’attività giornaliera utile per la comunità, che può essere aiutare in cucina, nell’orto, fare le pulizie, e così via.


 


A Findhorn viene condivisa l’idea che l’umanità sia impegnata in un processo di evoluzione della coscienza che genera civilizzazione e una cultura planetaria impregnata di valori spirituali.
E’ per questo che i loro seminari sono un riflesso della ricerca della sacralità in ogni aspetto della vita, creando nuovi modi di interazione tra lavoro, vita, ambiente e dialogo interiore, in un clima di onestà e amore. 
La grande lezione della comunità e’ lo spirito di Comunione, cioè di comune unione, che porta a stare insieme in modo diverso, favorendo una profonda comprensione del rapporto con gli altri e con ciò che ci circonda.

La comunità oggi conta circa cinquecento membri fissi, ma è visitata da persone provenienti da tutto il mondo, che decidono per periodi più o meno lunghi di entrare in questo luogo magico dove ciò di cui tutti parlano esiste già da molto tempo.

Quando si va a Findhorn per la prima volta si partecipa a un programma iniziale che si chiama “Settimana di Esperienza”, ed è il modo ideale per scoprire questa splendida realtà, che invita a lasciar andare i propri limiti, aprirsi all’Amore e diventare il cambiamento che vorremmo vedere nel mondo. Questo periodo di tempo offre l’opportunità di sperimentare i principi su cui si basa la comunità e partecipare a tutte le attività della fondazione, come meditazioni, danze sacre, passeggiate nella natura, lavoro in uno dei vari settori della comunità e condivisioni di gruppo.

 

     
A Findhorn le persone non sono numeri. Pensate che quando si fa domanda per la settimana di esperienza, viene richiesta da parte della Fondazione una lettera di presentazione che parli di noi, e questo non solo per farci conoscere un po’ in anticipo, ma per permettere loro di preparare il giusto programma per noi.

Non viene certo richiesto un curriculum vitae, ma una panoramica onesta e semplice della nostra vita : le scelte di vita che abbiamo fatto, le persone importanti per noi, ciò che ci ispira, le sfide, i desideri, e perché abbiamo deciso di partecipare a questa esperienza.

La comunità non è un ente con fini di lucro, e si sostiene attraverso le donazioni.
Inoltre i prezzi per partecipare alla settimana di esperienza o ai seminari e programmi vari  variano in base alle risorse economiche
Questo significa che a seconda delle possibilità economiche viene chiesto di scegliere in coscienza quale cifra si vuole pagare, tenendo conto che la cifra più bassa copre appena le spese del programma e dell’ospitalità completa. La cifra media è quella reale del corso e quella più alta permette si di partecipare che di sostenere i partecipanti con maggiori difficoltà.

A Findhorn, infatti, esiste un fondo di aiuto finanziario per chi vive in difficoltà economiche ma vorrebbe comunque fare questa esperienza, e da diverso tempo, ormai, si lavora sul concetto di dono (che è diverso da quello di solidarietà) come forma di supporto agli altri.

Ho riflettuto molto su questo loro punto di vista, e per quanto sottile credo che una differenza ci sia davvero. Secondo me, la solidarietà, per quanto nobile e benedetta, parte da un presupposto di compassione verso gli altri, di desiderio di aiutare e alleggerire le difficoltà della vita. Il dono, invece, ha come presupposto l’Amore, il desiderio di condividere una gioia con un’altra persona. E’ un concetto più elevato che riguarda lo sviluppo di una nuova coscienza umanitaria.

In un’epoca in cui tutti parlano di eco sostenibilità, salto quantico, nuova coscienza e chi più ne ha più ne metta, c’è chi alle parole ha sostituito i fatti, e lo ha fatto mezzo secolo fa, continuando a credere e a diffondere nel mondo una reale alternativa alle condizioni di vita attuali.

Findhorn è come una serra, dove si può crescere psicologicamente e spiritualmente in poco tempo, perché qui avvengono grandi cambiamenti interiori. Quando si torna in mezzo al mondo si è fortificati e pronti a ricominciare la propria vita in modo più consapevole” (Peter Caddy)


Con profonda gratitudine …

mercoledì 23 novembre 2016

Destino o fattore "C"?





Si dice che la fortuna sia cieca ma che la sfiga ci veda benissimo.

Cosa succede però se per una volta la dea bendata si toglie il velo dagli occhi e guarda proprio noi e noi, invece, le voltiamo le spalle?

Ho fatto questa riflessione guardando l’ultima puntata di “X Factor”, quando uno dei gruppi più votati dall’inizio della competizione ha deciso di mollare tutto e rinunciare alla grande opportunità che questo format televisivo dà a chi vuole fare della musica il proprio lavoro.
Sto parlando dei Dainalu, un duo formato da una ragazza con una voce particolarissima e un aspetto che a tratti ricorda una creatura fiabesca, e il suo compagno, che suona più strumenti e si occupa della parte musicale. Sono due ma sembrano un complesso.

Animati dal desiderio di riscatto e da una passione che trasuda dai pezzi che presentano, hanno fatto colpo non solo sui giudici ma anche sul pubblico, che li ha sostenuti sin dall’inizio, mandandoli avanti nella competizione senza esitazione.

Il loro sogno si stava realizzando. La vita, l’Universo, il destino, chiamatelo come volete, aveva ascoltato il desiderio del loro cuore aprendo loro tutte le porte. Erano nel flusso.

Eppure a un certo punto qualcosa si è rotto dentro di loro, e si sono accorti che il contenitore televisivo non era nelle loro corde e che il ritmo convulso di ciò che avevano scelto per dare voce al loro talento li aveva inghiottiti.

Forse.

E se fosse invece che avevano smesso di credere in quel sogno? O che non si sentissero meritevoli di tutto quel successo e dell’affetto delle persone che magari vedevano in loro un esempio concreto di tenacia e fede? In questo caso la scelta che hanno fatto, in modi e tempi alquanto discutibili, avrebbe un senso. Se non mi sento meritevole creerò dei meccanismi di sabotaggio tali per cui ciò che penso di non meritare si avvererà.
E’ molto semplice.
Non è facile gestire il fallimento, ma non lo è nemmeno gestire il successo. 

E se non ci si sente all’altezza delle situazioni si farà in modo di evitarle, in un modo o nell’altro.
E’ anche vero che non si può conoscere un certo meccanismo fino a quando non se ne fa esperienza, ma se sappiamo già in principio che a certi compromessi non sappiamo scendere, perché imbocchiamo proprio quella strada? Cosa vogliamo dimostrare e soprattutto a chi vogliamo dimostrarlo?

La loro scelta, per quanto sentita, è stata un voltare le spalle a un dono che la vita probabilmente non gli farà più, perché certe occasioni capitano una sola volta e sono quei momenti in cui se sai cavalcare l’onda arrivi alla terra promessa. Ma come dicevo sopra, devi sentirti in grado di poterlo fare.  Magari arriveranno lo stesso ai loro obiettivi passando da un’altra strada, oppure, a mente lucida, rimpiangeranno per tutta la vita questa scelta irruenta e ingrata.

Cosa succede se si rifiuta un regalo che la vita ci fa? Che meccanismo scatta quando possiamo realizzare un sogno e decidiamo invece di rinunciare, bruciando un’opportunità più unica che rara?

L’universo si ricorderà ancora il nostro indirizzo o ci metterà nella lista nera di chi ha ricevuto il prodotto che aveva ordinato, lo ha provato e poi lo ha rimandato al mittente?

Quando diciamo di voler realizzare un sogno, siamo davvero disposti a prendere il pacchetto completo o preferiamo rimanere nelle retrovie dove non è necessario crescere e dimostrare una forza che forse non abbiamo?

In compenso un gruppo che inizialmente era stato scartato, per un gioco del destino è stato ripescato e sta procedendo con gioia e determinazione verso la finale, e un altro cantante per il quale uno dei giudici si è battuto fino alla fine e che lotta senza risparmiarsi per dimostrare di meritare di essere lì, per la decisione dei Dainalu è rimasto in gara quando invece sarebbe stato eliminato.

E’ il gioco di X Factor dentro al gioco del destino, che sta muovendo abilmente i fili delle situazioni per dare a chi vuole davvero, togliere a chi non crede di meritare e spingere avanti chi non molla mai.

Scrivete bene il vostro indirizzo….non si sa mai…

mercoledì 16 novembre 2016

Il tempo di un caffè...






Un tavolo, quattro sconosciuti, una moka di caffè, e venti minuti per parlare.

Questo è l’esperimento sociale a cui ho partecipato domenica 13 Novembre a Santarcangelo di Romagna, nei locali della Biblioteca Comunale durante la Fiera di San Martino.

L’evento è stato organizzato dall’Associazione Recidivo, “un centro di riuso/recupero creativo dei materiali di scarto sociale con lo scopo di promuovere atteggiamenti ecologicamente ed eticamente corretti in un’epoca di consumismo spregiudicato”.

Con questo esperimento curioso e stimolante si è voluto recuperare qualcosa che viene spesso sprecato o al quale, a volte, non si dà la giusta importanza: il tempo.

E da buoni italiani, quale miglior occasione per incontrarsi se non il tempo di un caffè? 

L’iniziativa, aperta a tutti, è stata accolta con curiosità ed entusiasmo da uomini e donne di ogni fascia di età, sottolineando l’esigenza profonda di tornare a relazionarsi con gli altri in maniera “reale”, in un’epoca in cui il virtuale e il tecnologico sembra abbiano preso il posto delle parole dette e degli sguardi che si incontrano.





Al centro del tavolo una scatola con tanti foglietti, su ognuno dei quali era scritta una“parola” che suggeriva il possibile argomento della conversazione. Tutto nella massima libertà, perché da quello spunto si poteva spaziare ovunque.
La nostra parola era ASCOLTO, e noi abbiamo fatto questo a turno, ascoltato chi ci stava raccontando il suo punto di vista, la prospettiva da cui guarda il mondo, riflettendo sul fatto che oggi non solo è difficile relazionarsi con gli altri ma spesso quando si parla con qualcuno non lo si ascolta neanche, presi magari da cosa dobbiamo fare dopo o facendoci distrarre da messaggi e notifiche del mondo parallelo.
Proprio per evitare la contaminazione tecnologica, i nostri cellulari sono stati messi in un’altra scatola e riposti altrove fino alla fine dell’esperimento. 

Mi piace chiamarlo così un po’ perché lo è stato davvero, un po’ come provocazione, perchè vi sembra normale che nel XXI secolo sia considerato un esperimento parlare a voce con altre persone piuttosto che inventare il teletrasporto?

E invece è così. La tecnologia, l’illusione di una vita reale in mondi virtuali, la frenesia quotidiana con cui viviamo ogni situazione sono diventate entità che gestiscono la nostra vita e dalle quali sembriamo dipendere come i sudditi dal sovrano. Sembra non ci sia più tempo per nulla, non siamo più noi a gestire la nostra vita, ma è il contrario.

Ecco allora che il tempo di un caffè diventa una conquista e un atto rivoluzionario.

In quei 20 minuti il tempo si è dilatato e ha abbracciato tutti noi. Abbiamo parlato in totale libertà, senza alcun imbarazzo o timore del giudizio altrui, curiosi di sapere chi avevamo davanti e cosa avevamo da dirci. 
Persone con vissuti diversi, età diverse ma un comune denominatore: la curiosità di partecipare a un progetto in cui l’individuo fosse il protagonista e il tempo di un caffè un momento per se stessi strappato alla frenesia quotidiana.
Che poi 20 minuti possono sembrare molti, ma in realtà sono un battito di ciglia. Quando si è immersi in una conversazione piacevole, leggera ma profonda allo stesso tempo, i minuti volano. 
Quando si ascolta un perfetto sconosciuto, che in quel momento diventa però un compagno di avventura, condividere il suo pensiero e il suo sentire senza filtri o inibizioni, la distanza fra le persone crolla. Il caffè, poi, è il collante perfetto e il portavoce ufficiale degli incontri fra le persone. Non è un caso che quando ci si voglia incontrare con qualcuno si dica : “Ci prendiamo un caffè ?”


Il tempo di un caffè è la metafora perfetta per suggerire alle persone di ritagliarsi del tempo per sé, per relazionarsi con gli altri “come una volta”, parlando, ascoltandosi davvero, guardandosi, recuperando quel valore umano che oggi sembra perso.
Non serve mezza giornata, bastano anche 10 minuti per entrare in una dimensione intima e personale sganciata dalla tecnologia e dai rumori del mondo. Dobbiamo viverla la nostra vita, non subirla.

Sicuramente l’ambiente messo a disposizione per questo esperimento ha facilitato l’incontro e il mettersi in gioco delle persone, ma secondo me è lo stato d’animo che si è creato che ha fatto la differenza e che ha riportato fortemente l’attenzione sulla necessità di tornare semplici ed immediati.
Secondo me le persone hanno un bisogno profondo di incontrarsi e condividere quell’umanità che oggi si è persa. Anche lo scontro su certi argomenti è una forma di incontro, e in ogni caso il confronto favorisce la crescita e l’espansione della coscienza.

Non vi nascondo che se avessi potuto rimanere seduta a quel tavolo per tutta la mattina lo avrei fatto. Non mi sembrava di parlare con degli sconosciuti, termine questo che a volte si addice anche a chi in realtà crediamo di conoscere. 
Eravamo entrati in una dimensione in cui l’ascolto e il confronto erano più importanti di ogni altra cosa. Guardando i miei compagni di caffè, non mi sono chiesta neanche per un istante chi fossero davvero, ma ho ascoltato le loro parole e vissuto pienamente quel momento senza alcuna distrazione, facendo mie le loro considerazioni e ampliando il mio bagaglio emotivo ed esperienziale. E il tempo è volato.
L’essere umano ha bisogno di nutrimento emozionale, e questa esperienza ha fornito proprio questo, emozioni.


Finito il tempo, chi voleva poteva lasciare un commento (rigorosamente in forma anonima) riguardo all’esperienza vissuta. C’è anche chi non ha scritto nulla, ma secondo me non certo perché non abbia ricevuto niente da questa esperienza, ma perché a volte non ci sono parole per descrivere un’emozione. Su quel foglio bianco ha lasciato il suo sentire che nessuna parola, evidentemente, poteva raccontare.
Nella sua semplicità questo esperimento è stato potente e ha sottolineato l’importanza di usare il tempo con intelligenza, privilegiando la qualità delle cose che facciamo e non la quantità delle stesse e soprattutto di essere presenti a noi stessi in qualunque momento, perché così facendo anche il tempo di un caffè può diventare un’esperienza stupefacente e la conoscenza di altre persone un viaggio ricco ed entusiasmante.
E il pensiero del cellulare è rimasto nella scatola insieme al telefono stesso.

Sicuramente e decisamente da riproporre.

Mi è rimasta solo una domanda che  forse è una piccola provocazione:
“L’ascolto è possibile solo se l’ambiente lo permette o dobbiamo essere capaci di creare dentro di noi quello spazio libero dai rumori del mondo in cui ascoltare noi stessi e gli altri?”

Grazie di cuore all’Associazione Recidivo per l’opportunità di ricordarci che siamo animali sociali  che necessitano di incontro e conoscenza reciproca, e grazie soprattutto a Massimo, Adriana e Michele, miei compagni di tempo e caffè per aver condiviso con me una pezzetto di viaggio.

Auguro a tutti “Il tempo di un caffè”..

sabato 12 novembre 2016

Cosa ti preparo per cena? :)















C’è un legame sottile ma estremamente potente fra l’amore e il cibo, e questo legame crea delle dinamiche comunicative che vanno ben oltre le parole. 
Il cibo non rappresenta solo il nutrimento del corpo, ma anche quello dell’anima quando viene condiviso con chi amiamo. E’ la condivisione del tempo, dei sapori, degli stati d’animo, un’esperienza sensoriale a tutto tondo e un nuovo incontro, apparentemente uguale ma sempre diverso.

Qualche giorno fa ho ascoltato, involontariamente, un litigio dei miei vicini di casa. Stavo bevendo il caffè quando hanno iniziato ad urlare.
 Non avrei potuto non sentirli neanche volendo, perché lei urlava sul terrazzo mentre lui dal cortile prima di andare al lavoro. 
Vi assicuro che si sono detti le peggio cose, e non per un motivo importante, ma perché lui non trovava più una cosa che lei aveva sistemato.
 La discussione è andata avanti per quasi dieci minuti passando dal “ lo sai che non devi toccare le mie cose”( lui) al “mi sembra un porcile questa casa” (lei), al “se vengo su ti ammazzo” (lui) al “vieni vieni che vediamo chi la racconta alla fine”(lei), il tutto condito da qualche parolaccia che fa molto street life.

Qualche secondo di silenzio e… “Cosa vuoi per cena stasera?” lei.
“Non lo so, va bene tutto. Ciao” lui.

Uno va al lavoro, l’altra rientra in casa, fine della discussione. Io rimango come una cogliona, scusate il francesismo, seduta davanti al mio pc, con la tazzina del caffè in mano. Mi sembrava di essere su un altro pianeta, e dicevo fra me e me: “Ma è uno scherzo?”.

Passato il momento di confusione iniziale, e dopo essermi fatta una bella risata pensando che il mondo è bello perché è vario, ho iniziato a riflettere non tanto sul litigio in sé, quanto sulla dinamica comunicativa fra di loro. 
Lei sapeva perfettamente che quelle minacce erano solo fumo, e lui sapeva benissimo che lei lo sapeva, perché nella loro storia quella modalità li fa incontrare, in maniera forte e sopra le righe ma sicuramente giusta per loro. Io non potrei certamente farcela in una relazione così, per quanto sanguigna io possa essere, perché certe dinamiche sono estremamente faticose dal mio punto di vista soprattutto quando sono la regola e non l’eccezione. 
E’ però indubbio che ogni coppia crei all’interno della relazione ( parlo di relazioni sane) un modo assolutamente originale e unico per comunicare, a volte incomprensibile agli occhi degli altri ma perfetto per loro. 
E poi la domanda “cosa vuoi per cena” credo sia la manifestazioni di affetto per eccellenza. Le mamme e le nonne ce lo insegnano da sempre che il cibo rappresenta benessere e serenità.
“Ciao amore della nonna/mamma, come stai? Bene? Mangi?”.
Se sfortunatamente la risposta è “Non tanto in questo periodo” parte l’interrogatorio prima per sapere cosa c’è che non va, e poi inizia la lavorazione di tutti i piatti che preferiamo e che possiamo congelare, così “mangi le cose che ti piacciono e vedrai che poi starai meglio”.(Freezer pieno per sei mesi)
Vuoi perché le nostre nonne vengono da una generazione in cui il cibo era davvero simbolo di prosperità, vuoi perché nei momenti di difficoltà si chiude lo stomaco e si smette di mangiare, vuoi perché ci sono situazioni in cui il dimagrimento è davvero sinonimo di malattia ma il cibo è diventato uno status symbol, un indicatore di benessere e il portavoce di tanti stati d’animo.
Quindi la domanda che la mia vicina ha fatto al marito, non le ha solo permesso di tirare un rigore e portare a casa la partita, ma è stato anche un messaggio implicito che diceva fra le righe che le parole dette erano già passate, e che preparare qualcosa per cena che lui desiderasse era il suo modo per dirgli che gli voleva bene.

La comunicazione ha davvero tantissimi modi per essere efficace, basta craccare il codice e il gioco è fatto. Ogni coppia ha il suo linguaggio, come il fischio firma per i delfini, un suono di riconoscimento che lega ogni madre solo al suo piccolo.

E il cibo rappresenta un elemento fondamentale per incontrarsi, la manifestazione per eccellenza dell’affetto che si prova per un’altra persona. Chi non ha mai preparato qualcosa di speciale per la persona che ama? E anche se il risultato finale non è proprio da master chef, il messaggio che c’è dietro a quel gesto basta per dire tutto.

C’è chi comunica con le parole, chi con i gesti e chi chiede:” Cosa ti faccio per cena stasera?”

Buon fine settimana anime in cammino…


mercoledì 2 novembre 2016

Sveglia !...





E all’improvviso la terra trema. Gira la testa, sale la nausea e mentre tutto si muove fuori di noi, dentro tutto si ferma. Si ferma il respiro, si fermano i pensieri, si ferma anche l’illusione di essere lontani da ciò che accade nel mondo, dai drammi che toccano sempre gli altri e lasciano  indenni noi. Sale invece la paura e la consapevolezza di quanto siamo piccoli e impotenti rispetto alla natura in cui siamo immersi ogni giorno senza rendercene nemmeno conto.

Viviamo la vita col pilota automatico inserito, senza focalizzarci su ciò che ci circonda e spesso senza averne il minimo rispetto. C’è sempre bisogno di uno “scossone” per destarci dal nostro torpore, perché nella mia visone di ciò che accade intorno a noi, c’è sempre un significato che va oltre il mero accadimento. Quando la terra ha tremato ho sentito la potenza di ciò su cui appoggio i piedi ogni giorno, e mi sono sentita piccola, impotente e fragile. In quel breve lasso di tempo il mio pensiero è stato solo che in un istante tutto poteva finire.

E come succede sempre quando si percepisce la caducità dell’essere umano le priorità tornano ad essere quelle vere, almeno per qualche giorno: la famiglia, gli amici, gli affetti in generale, e a seguire la sensazione di essere fortunati a non vivere quell’inferno. Poi i giorni passano e tutto sfuma, la vita continua e quello “scossone” diventa piano piano un ricordo
.
Quello che mi chiedo io è: perché? Perché lasciare che un richiamo alla consapevolezza così forte entri nel dimenticatoio per essere ritirato fuori solo in presenza di un altro evento simile?

I più potrebbero rispondere che la vita va avanti e non ha senso vivere con l’angoscia che un evento catastrofico potrebbe accadere da un momento all’altro, e mi trovano d’accordo su questo. 
Quello che vorrei però accadesse è che la vita continuasse con uno sguardo aperto e limpido sul nostro vissuto quotidiano, con un bagaglio di presenza maggiore a ciò che viviamo dato da una lezione compresa, non un ritorno al “prima” senza aver capito nulla.

La natura ultimamente ci sta dando moniti forti e chiari per un risveglio della coscienza, che non possiamo ignorare. Siamo qui per un motivo, per adempiere a una missione che riguarda la nostra evoluzione come esseri umani, per aprire gli occhi su una realtà che è molto più vasta e ricca di quella che vediamo o crediamo di vivere ogni giorno. L’essere umano ha potenzialità enormi che non sfrutta, di cui non è consapevole e che non sembra interessato il più delle volte a sfruttare per il proprio salto evolutivo, ma è questo che ci viene chiesto in questo momento storico così potente e delicato, di aprire gli occhi, di porre la nostra attenzione su ciò che è davvero importante.

Per alcuni può riguardare le relazioni, per altri il lavoro, per altri la realizzazione di un sogno o perlomeno il tentativo di farlo, per tutti è togliersi il prosciutto dagli occhi e stare pienamente in quello che viviamo, che vogliamo, che desideriamo.

La vita è una maestra sincera ma severa, che spesso insegna prima la pratica della teoria, perché sa perfettamente che se “leggiamo ricordiamo, se vediamo impariamo ma è solo se proviamo che capiamo”.

E allora svegliamoci, iniziamo a vivere la nostra vita pienamente, torniamo a sognare in grande un mondo migliore per noi e i nostri figli e facciamo per primi piccoli passi in questa direzione. Cerchiamo di essere la migliore versione di noi stessi, ci sono così tante sfumature in ogni istante che viviamo che se ne avessimo la minima consapevolezza le nostre giornate diventerebbero un’avventura continua.

Credo fermamente che uno sguardo sincero alla vita e un cuore aperto alla meraviglia che ogni giorno bussa alla nostra porta renderebbe davvero migliore il nostro viaggio.

Buona vita anime in cammino…