mercoledì 26 aprile 2017

Generazione "Anta"



Generazione “ANTA” non è il titolo di una nuova band, ma il brand dei nuovi adolescenti, degli adulti di nascosto, dei “diversamente giovani”, che nonostante il tempo che passa sono rimasti vivi dentro, non rassegnati all’età che cresce, ma sempre ben ancorati a quel fuoco che arde prepotente nel cuore di chi sente la vita in ogni sua parte.

Qualche giorno fa parlavo con un carissimo amico, che ha da poco passato gli anta, non i primi (Quaranta), ma i secondi( cinquanta), e mi ha confessato una paura che a volte assale anche me, quella di non avere più tempo per le cose belle della vita, come le passioni forti, che ti ricordano in ogni istante di essere vivo. Avete presente quando vi innamorate follemente di qualcuno e poi la storia finisce e vi ripromettete di non innamorarvi più per non soffrire ancora? Ma poi sperate con tutto il cuore che accada presto di nuovo perché senza quelle emozioni la vita non ha sapore? Ecco , è questa inquietudine che la generazione ”anta” ha paura di non avere più, quella di aver già sparato le cartucce migliori e non avere più il tempo e il modo per sentirsi “giovane”.

Che poi i giovani di oggi non sanno divertirsi e nemmeno godere appieno della loro magnifica età. Hanno tutto, non devono sudarsi nulla e perdono il gusto della conquista seguente alla fatica di dover dimostrare di avere gli attributi. Gli uomini non sanno più corteggiare perché le donne gliela danno la prima sera, e il gioco della conquista finisce lì.

La generazione “anta” viene da un mondo diverso,in cui dovevi inventarti di ogni per stupire la ragazza di turno, in cui dovevi essere in gamba per colpire il ragazzo più ambito. Era un tempo in cui dovevi sfruttare tutte le qualità che avevi per conquistare il tuo obiettivo, e a volte non bastava neanche quello. Eppure tutto quell’impegno, quel lottare, quel gioco di strategia valeva sempre la pena a prescindere dal risultato.

I ragazzi oggi vivono edulcorando la realtà, non si stupiscono davvero per niente e sembra non siano davvero coinvolti nella loro vita ma che la vivano e guardino come degli spettatori, con un distacco che a volte lascia basiti. Eppure le emozioni che vivono in questa fase della loro età sono le più belle, quelle che accendono, sconvolgono, fanno arrabbiare ma che poi in seguito riconosceranno come quelle necessarie per sentirsi vivi.

Parlando del figlio che ha poco più che vent’anni, il mio amico mi racconta di come non vede in lui quella passione per la vita che aveva lui alla sua età, quel gas che incendiava l’aria e quella voglia spasmodica di fagocitare le situazioni e non farsi scappare nulla. 
Non vede nei giovani di oggi l’attenzione al tempo che passa, la consapevolezza di quello che vivono e l’impegno per fare di ogni istante un momento memorabile, ma un incedere quasi annoiato nella vita.
C’è il lavoro nell’azienda di famiglia, ci sono i soldi, la macchina, il cellulare( che ha sostituito i rapporti interpersonali)c’è la possibilità di accedere facilmente a tutto, e di conseguenza la perdita di entusiasmo quando si ottiene qualcosa per la quale in realtà non si è investito più di tanto.

La generazione “anta” viene da un’altra scuola ed è incomprensibile per lei vedere ragazzi che si lasciano scappare occasioni importanti o che non vivono appieno le situazioni.
Quando si è ragazzi non ci si pensa a queste cose, ma quando il tempo passa e gli anni si fanno sentire,  quello che manca non sono i beni materiali, che sono sì importanti ma non fondamentali, sono le EMOZIONI.

La generazione “anta” teme di non aver abbastanza tempo per le emozioni che squarciano il petto e fanno sentire tremendamente vivi, temono cioè di avere il pane ma non i denti.
I ragazzi al contrario hanno i denti ma il pane non lo trovano neanche se glielo tiri nella schiena! Qual è il compromesso allora?

Ogni generazione ha il suo punto di forza e la sua debolezza, e della generazione attuale il punto debole è sicuramente quello di non assaporare fino in fondo il gusto della conquista, perché in realtà non fa alcuna fatica ad ottenere niente.

La generazione “anta” invece teme di non aver più modo di cavalcare l’onda, e questo crea uno sconforto e un disagio che colpisce nel profondo e che a volte spinge uomini e donne ad infilarsi in avventure ai confini della realtà.


Non posso fare a meno di chiedermi: come mai fino a una certa età il tempo sembra andare al rallentatore e subito dopo iniziare a scorrere alla velocità della luce? Dov’è l’inganno o l’interruttore che rallenta questa corsa? 

E perché di tutto quello che può mancare sono sempre le emozioni che vincono il banco?

mercoledì 5 aprile 2017

Uguali...ma diversi!



Il teatro della cittadina di Dunedin, nell’estremo sud della Nuova Zelanda, ha scelto di usare questo cartello per dare un messaggio di inclusività verso tutte le differenze.
A comunicare la novità è stato lo stesso Regent con un tweet inviato dal suo account ufficiale. Com’è evidente, il cartello mette il bagno a disposizione di persone di qualsiasi genere e natura, compreso un alieno, sotto al quale si legge:

“Qualsiasi cosa, basta che vi laviate le mani”.

“Vogliamo che le persone siano rilassate e per questo abbiamo scelto questo cartello – ha spiegato Hannah Molloy, responsabile del marketing per il Regent Theatre -. Toglie tutte le ansie alle persone che si possono sentire sotto pressione ad andare in un bagno destinato ad uno specifico genere, o ad un altro, quando magari non si identificano con nessuno dei due”.

Personalmente questo cartello mi lascia un po’ perplessa, e non posso fare a meno di chiedermi: 
“Abbiamo davvero bisogno di un cartello per ricordarci che “teoricamente” facciamo parte di un unico genere, quello umano?

E non dico teoricamente in senso provocatorio, ma come realtà dei fatti. Possiamo raccontarci quello che vogliamo, ma siamo così certi di essere “inclusivi” verso tutte le differenze che ci circondano? Nella teoria siamo tutti dei fenomeni, ma nella pratica la nostra barca fa acqua da tutte le parti.

Che poi voglio dire, perché lo stesso cartello non lo mettono all’interno dei locali? O esposto sui mezzi pubblici? O in qualunque altro ambiente “teoricamente aperto a tutti?” Perché proprio in un bagno? Cosa si vuole impedire, le crisi di identità dei confusi? O forse vuole dare l’immagine evoluta di una società aperta e rispettosa dei bisogni e della natura di tutti?

La realtà, cari miei, è ben lontana dal messaggio esposto, che sinceramente offende la mia intelligenza e la consapevolezza della realtà in cui siamo invece immersi.

Non c’è inclusività perché non c’è rispetto delle differenze. E non c’è rispetto per il diverso perché non c’è conoscenza. C’è invece giudizio e paura di ciò che è lontano da noi e che non comprendiamo, e la tendenza ad isolare e allontanare ciò che percepiamo come una minaccia.
Gli unici davvero inclusivi, fino a quando non vengono influenzati dall’ambiente familiare o societario che frequentano, sono i bambini. Per loro l’unica cosa importante è giocare, possono notare le differenze fra i partecipanti, ma una spiegazione semplice e onesta elimina qualunque dubbio o perplessità.

Il problema sono gli adulti. Vi sembra normale che si debba mettere un cartello del genere per cercare di unire “le genti”, o comunque per porre l’attenzione su un aspetto che oggi più che mai divide la società?

Siamo arrivati davvero così in basso? Abbiamo fallito così miseramente come genere?
Che poi questo è solo la punta dell’iceberg. Cosa dobbiamo aspettarci ancora per mostrare al cosmo quanto siamo cretini? Cartelli in cui si fa un’equazione in cui un bianco sta a un nero come un mussulmano sta a un cattolico? E poi ci chiediamo perché gli extra terrestri non ci vengano a trovare.

Oppure mi immagino ristoranti in cui ci sono cartelli che spiegano come bere da un bicchiere senza sbrodolarsi, o come usare un coltello senza uccidere il vicino commensale.. E guardate che nel loro piccolo, i supermercati già da anni hanno creato cartelli in cui si dice di dare la priorità alle casse alle donne incinta o ai portatori di handicap. E la cosa più triste, è che se ti vedono con la pancia di due metri per due ma non chiedi nulla, o sulla carrozzina in fila con gli altri, col cazzo che ti fanno passare! Eppure c’è il cartello!!!!!

Siamo falsamente evoluti così come falsamente inclusivi, poco intelligenti e tristemente moralisti. Non voglio fare di tutta l’erba un fascio, perché c’è un piccolo spicchio di umanità che almeno ci prova ad essere migliore, ma la strada è lunga e non basta un cartello fuori da un cesso per far sembrare una città o una comunità più aperta.

Sapete cosa abbatte i muri dell’ignoranza e dell’esclusività?

La tragedia, il disastro, la triste consapevolezza di essere tutti sulla stessa barca che sta per affondare. Ecco che le differenze si azzerano, che non guardi più chi ti sta aiutando a sopravvivere con gli occhi foderati di prosciutto, ma lo fai con la maturità di chi vede un altro essere umano che rischia magari la sua vita per salvare la tua. Sono certa che in una condizione del genere nessuno farebbe caso al colore, alla nazionalità, alla religione o al genere sessuale, e non ci sarebbe neanche bisogno di un cartello.

Credo che il primo passo verso l’evoluzione sia quello di un bagno di sana onestà verso se stessi, prima di tutto, seguito dalla volontà di conoscere il diverso e scoprire magari che poi tanto diverso non è.

Senza conoscenza non c’è progresso, crescita e neanche aggregazione.
Senza dialogo non c’è comprensione.

Credo fermamente che non sia necessario convincere le persone che siamo tutti uguali, perché in realtà non è così. Credo invece sia necessario educare i cuori all’accettazione e al rispetto di ciò che è diverso da noi, partendo dal presupposto che diversità non è minaccia né pericolo, ma opportunità di crescita, di scoperta, e questo non vale solo per il genere sessuale, ma per tutto, dall’aspetto fisico all’ideologia.


Un cartello che ci spiega come vivere…no cazzo, eh?!!