martedì 7 novembre 2017

La tazzina del diavolo...







Robusto, dolce, intenso ed eccitante, nervoso, corposo, oscuro ed accattivante…
Il caffè o lo si ama o lo si odia, non ci sono vie di mezzo, lo si colloca nel Paradiso dei sapori estatici o nell’inferno delle dipendenze viscerali.
La sua intrigante ritualità ha contribuito alla creazione di un mito di cui non si può più fare a meno.

La sua più grande qualità è resa nota già dal nome: quello arabo di “qahwa”( eccitante) dato dai mercanti che intorno all’anno mille riportarono dall’Africa questo prodotto poi chiamato in turco “kahve”e diventato poi il caffè diffuso dai mercanti veneziani sul fare del 17° secolo come “vino d’Arabia”. 

Eppure la bevanda che corrisponde alla mattutina preghiera quotidiana del 65% dei suoi consumatori (su una media mondiale di oltre 4 miliardi di tazzine consumate ogni giorno) di sacro non aveva proprio nulla: anzi, per quella pericolosa eccitazione provocata, la “bevanda del diavolo” venne inizialmente relegata più alle taverne che alle tavole altolocate.

Come uscire dal purgatorio della terra di mezzo per approdare alla spiaggia degli osannati e venerati dei pagani?
Semplicemente puntando al vertice, e fu proprio il rappresentante di Dio in terra a redimerlo dalla sua qualità di esiliato per farlo ascendere a quello di adorato.
Papa Clemente VIII, infatti, incuriosito da questo liquido malefico perché musulmano, decise che il peccato più grande sarebbe stato lasciare una bevanda così buona agli infedeli, e che l’unico modo per liberala dal peccato sarà stato ribattezzarla. 
La “bevanda di Satana” divenne quindi il “caffè” che tutti conoscono, e Venezia la prima città ad ospitare il primo”Caffè” nel 1640, in virtù del commercio esistente e della sua predisposizione all’apertura e alla “contaminazione”.

E la segue a ruota Parigi, città letteraria e mignotta, aperta alle rivoluzioni di ogni genere, culturali, mentali e sensoriali, che portò persino Luigi XIV ad inserire la sua coltivazione nel Jardin du Roi.

Il resto è storia, ma perché non raccontarne un po’?
In fin dei conti chi non ama curiosare nella vita degli altri? I social media insegnano in questo, o no?

Sappiate, cari amici, che nel 1732 Bach scrisse una meno conosciuta Coffee Cantata dedicata proprio al dolce gusto del caffè, e che il caro Beethoven non poteva fare a meno del suo caffè preparato con 60 grani esatti! 

Giuseppe verdi lo definì balsamo per il cuore e lo spirito, ma sul podio degli estimatori dell’ "oro nero” troviamo il re dei romanzieri  di Francia, talmente dipendente e ossessionato dalla bevanda del diavolo da berne (si dice) 50 tazze al giorno, e avergli dedicato un piccolo Trattato ( compreso in un più esteso Trattato sugli eccitanti moderni) come appendice a un’edizione della “Fisiologia del gusto” del gastronomo Brillat-Savarin.

Balzac spiegò, come solo lui poteva fare, le virtù del nero caffè:
“I ricordi arrivano a passo di carica e insegne spiegate, la cavalleria leggera del paragone parte al galoppo; l’artiglieria della logica accorre con treni e carrozze; lo spirito arriva in gran tiro; le figure si alzano e la carta si copre di inchiostro…”.

Lo amava, il caffè, non ci sono dubbi, anche se come spesso succede, le passioni uccidono! Morì infatti di crisi cardiaca a 51 anni!
Un’ingiustizia vera e propria se si pensa che Voltaire, invece, che ne bevve una quantità pressoché uguale unito al cioccolato, arrivò indenne agli ottant’anni!

Forse il suo segreto è stato esagerare, scatenando un picco glicemico evidentemente propedeutico alla creatività più spudorata!



Dolce o amaro, macchiato o schiumato, lungo o corto, espresso o americano, il caffè è il re indiscusso dei riti, aggravante per eccellenza in ogni relazione e rifugio indiscusso di ogni emozione…

“ Sei triste? Fatti un caffè!”
“Sei stanco?..Bevi un caffè”
“Mi piaci…ci facciamo un caffè?”
“Dobbiamo parlare…davanti a un caffè?”
“Ho voglia di qualcosa di buono….mi preparo un caffè”
“Sono confuso…mi ci vuole un caffè..”




Caffè ed emozioni, un connubio perfetto, i pezzi di un puzzle che si incastrano perfettamente, un mix micidiale ed estatico.

Il caffè parla il linguaggio dei sensi e si fa portavoce di parole non dette, si fa taxi privilegiato di sapori pungenti ma necessari.





Come il sesso, il cioccolato e la risata, del caffè non si può fare a meno..
E se fosse facile liberarsene, non si chiamerebbe ossessione

Buon caffè a tutti…;-)




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